III. Le vicende della statua
Bruno e Campo de’
Fiori di Enrico
Meloni
Statua di G. Bruno a Campo de’ Fiori
IV.
LA PIAZZA
In età medievale questa
zona era costituita da un prato fiorito popolato dal bestiame, con le case e
le torri solo da un lato, a ridosso dei ruderi del Teatro di Pompeo;
dall'altro lato la vista del Tevere. Intorno agli anni '40 del 1400, papa
Eugenio IV fece lastricare la piazza che divenne luogo di mercato, di
traffici di varia natura, centro di alberghi e locande, di librerie, dimora
di celebri cortigiane (tra cui l'amante di papa Alessandro VI Borgia, padre
di Lucrezia e del duca Valentino), ma anche sede di supplizi di vario genere
e di esecuzioni capitali.
Attualmente Campo de' Fiori è una delle piazze più vitali di Roma; ogni
mattina, tranne la domenica, è sede di un pittoresco mercato. Da qualsiasi via
si acceda si è colti da una sensazione di freschezza, di continuo movimento.
L'attenzione viene catturata dall'andirivieni delle persone fra le
bancarelle, dai colori di fiori e verdure, dagli odori di frutta e di pesce.
Nel pomeriggio tutto tace. Solo allora si è in grado di mettere a fuoco
l'irregolare architettura della piazza e i due elementi che la
caratterizzano: la statua di Giordano Bruno, cupa e solenne nel lungo
mantello domenicano e la fontana collocata sul finire del secolo scorso,
quando la piazza venne ampliata a seguito di alcune demolizioni.
Di sera e fino a tarda notte Campo de' Fiori è un luogo molto frequentato per
lo più da giovani, che lo affollano nelle estati romane, sorseggiando birre,
chiacchierando o ascoltando la musica dei molteplici locali che circondano la
piazza. Per questa ragione balza spesso sulla cronaca dei quotidiani a causa
delle reiterate proteste dei residenti che non riescono a dormire per il
frastuono.
Oggi Bruno, a detta di alcuni frequentatori della piazza, costituisce il
"santo patrono" dei laici, martire del libero pensiero, il
protettore del popolo, degli studenti alternativi, di musici, attori e
giocolieri di strada, degli spiriti inquieti, di quanti si sentono inappagati
dalla realtà umana e non rinunciano a credere nella possibilità di un mondo
più giusto ed evoluto.
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Sonetti in romanesco per G. Bruno
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