Primo passo: LA VITA DI SIDDHARTA

Secondo passo: L’INSEGNAMENTO DEL BUDDHA




CHE COS’È IL BUDDHISMO?


Quattro passi sulla via del Dharma

 




Terzo passo: STORIA SCUOLE E TRADIZIONI

 

 

Dalla morte del Buddha alla redazione del «Tripitaka»

Diversamente da quanto si potrebbe immaginare, anche l’ambiente dei seguaci del Dharma, essendo costituito da esseri umani (evidentemente non sempre “illuminati”), non andò esente da conflitti e dissapori. Basti ricordare che, secondo la testimonianza di varie tradizioni, non appena Siddharta morì, Upananda, a differenza degli altri monaci che piangevano la dipartita del maestro, espresse la propria soddisfazione per la sua scomparsa, poiché d’allora in poi i monaci avrebbero finalmente avuto libertà di agire a loro piacimento.

Dopo la morte del Buddha fu presto sentita l’esigenza di convocare un concilio, che si sarebbe tenuto a Rajagrha nel 477 a. C. Ebbe uno svolgimento drammatico e portò persino alla temporanea espulsione di Ananda, cugino del Buddha e suo discepolo prediletto. Una volta riammesso, a lui toccò l’esposizione degli insegnamenti del defunto Maestro.

Il secondo concilio si tenne nel 383 a. C., a Vaishali, con lo scopo di prendere misure su alcune pratiche poco ortodosse attuate dai monaci di questa città. Fu approvato un codice di comportamento, il Pratimoksha, che ancora oggi viene applicato dalle comunità monastiche.

Il concilio successivo fu indetto al tempo dell’imperatore Ashoka, intorno al 243 a. C., poco dopo la sua conversione al buddhismo. E’ considerato il più illustre esponente della dinastia Maurya. Tramite alcune campagne militari riuscì in breve ad espandere i confini del suo stato fino a creare un grande impero, esteso quasi su tutta l’India. Le fonti affermano che proprio a causa del rimorso per le stragi causate durante la guerra, Ashoka provò una decisa avversione per ogni forma di violenza, e abbracciò il buddhismo diffondendolo nel suo regno. Promosse la tolleranza fra le diverse religioni, emise editti saggi e illuminati; fece inoltre scolpire motti e precetti su colonne, che ancora si conservano in alcune città indiane. Inviò missioni buddhiste fino in Grecia e in Egitto, mentre suo figlio, il monaco Mahinda (Mahendra), portò il Dharma nello Sri-Lanka.

In questo terzo concilio si tentò di porre un freno alle tendenze scismatiche, che un paio di secoli più tardi daranno origine alle due grandi correnti del Piccolo Veicolo (HINAYANA) e del Grande Veicolo o (MAHAYANA). L’insegnamento è chiamato “veicolo” perché rappresenta un mezzo che conduce i fedeli verso la liberazione, ossia nel Nirvana. Il Piccolo Veicolo porta a destinazione un ristretto numero di persone: soltanto chi pratica rigidamente la vita monastica; il Grande Veicolo conduce alla salvezza tutti i seguaci. Su questo punto torneremo in seguito, ora ci soffermiamo su un fatto accaduto nel I sec. a. C.

Verosimilmente il Buddha si esprimeva in pali, una lingua popolare indoaria, non in sanscrito, l’antica lingua indoeuropea, usata nei testi sacri del brahmanesimo, che molto probabilmente Siddharta non conosceva in quanto membro della casta dei guerrieri, non di quella dei sacerdoti (brahmani), che detenevano il monopolio della scrittura. Il pali può essere considerato come il parente povero del sanscrito, ha infatti una grammatica semplificata. Venne usato per la prima volta come lingua letteraria nello Sri-Lanka, per la redazione del “canone”, suddiviso in tre sezioni e denominato Tipitaka (Tripitaka, in sanscrito), termine che si riferisce a “Tre canestri”, poiché in origine si trattava di rotoli contenuti fisicamente in tre cesti:

a)    Vinaya-pitaka: disciplina monastica;

b)    Sutta-pitaka (sutra-pitaka in sanscrito): relativo ai “sutra”: discorsi o prediche;

c)    Abhidhamma-pitaka: (Abhidharma-pitaka in sanscrito): l’essenza della Legge.

La trascrizione della vita e degli insegnamenti del Buddha, si concluse intorno all’80 a. C. ad opera della scuola ortodossa Theravadin o «seguaci del Theravada» (la Dottrina degli Anziani), i quali seguivano, secondo la tradizione, gli insegnamenti dei diretti dei discepoli del Buddha.



Theravada (Hinayana)

E’ intuitivo comprendere che questa sterminata raccolta di testi sacri rappresenta quanto di più vicino esista alla dottrina originale del Buddha storico. E la corrente del Piccolo Veicolo (Hinayana), facendo riferimento a questi scritti, viene denominata anche “buddhismo pali”. Il termine Hinayana fu coniato dal movimento Mahayana in senso denigratorio. Per questa ragione è preferibile sostituirlo con THERAVADA (Dottrina degli anziani o degli antichi), anche se, ad essere precisi, non corrisponde propriamente ad un sinonimo. La Theravada (originaria dello Sri-Lanka) è infatti una delle tante scuole della tradizione Hinayana, l’unica sopravvissuta fino ai nostri giorni. Alcuni riferendosi all’Hinayana parlano di “buddhismo originario” o di “buddhismo della fondazione”. Attualmente la tradizione Theravada, oltre che nello Sri-Lanka è praticata in Myanmar, Thailandia, Cambogia, Laos, Vietnam.



Mahayana

Il MAHAYANA è una corrente che si sviluppò nei primi secoli dopo Cristo. Nel suo ambito sorse la letteratura della Prajnaparamita (perfetta saggezza) e vennero prodotti dei testi che furono attribuiti al Buddha, benché realizzati molto tempo dopo la sua morte. Come abbiamo visto, secondo questa tradizione, non soltanto i monaci ma anche gli altri fedeli, hanno la possibilità di ottenere la liberazione, per questo si definisce “Grande Veicolo”, perché è aperto a tutti.

Il Buddha storico viene considerato soltanto un aspetto fisico e illusorio del Dharma (la Legge Universale), utilizzato per aiutare i suoi discepoli non ancora pronti a comprendere la verità. In realtà – secondo il Mahajana - il Buddha primordiale ha già conseguito l’illuminazione da lunghissimo tempo, e da allora insegna la dottrina sulla Terra e anche in altri mondi presenti nello spazio infinito.

Si afferma, a discapito dell’ ARHANT (colui che ha conseguito la Liberazione affrancandosi dunque dalla rinascita), la figura del BODHISATTVA, cioè colui che, pur essendo per i suoi meriti destinato al Risveglio (bodhi), rinuncia «eroicamente» al Nirvana per aiutare gli altri esseri nella via della salvezza. Una delle conseguenze di questa nuova concezione, si riscontra nell’introduzione di innumerevoli santi, costantemente onorati e glorificati da riti e sacrifici; tutti elementi che non esistevano nel buddhismo delle origini, e che sono anche ad addebitare a sopravvivenze di antiche religioni e a sincretismi, favoriti dal carattere tollerante della religione buddhista.

Un altro elemento che differenzia il Mahayana dalla dottrina ortodossa è il VUOTO (sunya), la VACUITÀ (shunyata), che costituisce la vera essenza del reale, al di là delle sue illusorie apparenze. Di questo argomento si è occupato fra gli altri, Nagarjuna, filosofo indiano vissuto nel II sec. d. C. Sicuramente non è un concetto di facile comprensione per gli Occidentali, poiché in genere attribuiamo al vuoto una valenza negativa: è legato ad una condizione di assenza, di solitudine, di bisogno, forse di staticità. Poiché per la legge dell’interdipendenza nessuna cosa esiste in sé, ma esiste in quanto è in relazione con le altre, l’uomo comune avendo la mente ottenebrata da identificazioni, condizionamenti, pregiudizi, non sa vedere la realtà assoluta. Essa si identifica con il Vuoto, di cui non si può dire né che esista né che non esista, perché trascende, è oltre il pensiero dell’uomo non illuminato. A dirla tutta, anche i bodhisattva, il Buddha, il Dharma, il Nirvana ecc., sono in sé inesistenti, hanno solo la funzione di aiutarci a comprendere e ad improntare le nostre azioni verso la via della Liberazione. Solamente quando il pensiero si fa Vuoto, e cioè quando sgomberiamo la mente da ogni idea, condizionamento, attaccamento, brama, solo allora siamo in grado di concepire la realtà in sé.

Nel corso dei secoli il Mahayana detto anche “buddhismo del Nord”, si diffuse in Cina, Corea, Vietnam, Tibet, Giappone,e Mongolia.



Buddhismo Tantrico o Vajrayana (Veicolo Del Diamante)

Dal VII sec. d. C. si afferma in India per poi fiorire in Tibet dal secolo successivo, un nuovo veicolo, che può considerarsi una “variante” del Mahayana: il VAJRAYANA (Veicolo del Diamante).

Al contrario del buddhismo delle origini che era aperto a tutti indistintamente, si afferma l’esoterismo; dunque non ci si può incamminare sulla via del Dharma soltanto attraverso i testi sacri; è necessaria la guida di un maestro, un guru che li interpreti a vantaggio degli iniziati. Altre caratteristiche sono un accentuato simbolismo, l’introduzione di pratiche yoga, l’uso di complessi rituali, di mantra (formule magiche) e di mandala (cerchi magici).

In questa fase si assiste all’accoglimento nel Vajrayana di molti elementi della tradizione popolare, in particolare dei popoli nomadi dell’Asia: riti magici, spiriti, fate, demoni, folletti, fantasmi etc. Questo ulteriore passo verso la volgarizzazione del buddhismo era volto a conferirgli un fondamento più stabilite nella società.



DIFFUSIONE

Il buddhismo raggiunse quasi tutto il continente asiatico: dall’Indonesia all’Afghanistan, aree, queste ultime, dove fu soppiantato dall’islamismo. Una delle prove storiche della sua presenza in Afghanistan, è costituita dalle monumentali statue del Buddha, distrutte recentemente dai talebani.



India

Verso la fine del XII secolo il buddhismo cessò di esistere un India per una serie di ragioni legate per lo più alla riaffermazione di tradizioni religiose induiste e alle invasioni musulmane, con le conseguenti distruzioni di monasteri e stragi di monaci.



Tibet

Come si diceva, il buddhismo in Tibet cominciò concretamente ad affermarsi nell’VIII secolo d. C., anche se la sua diffusione non fu senza ostacoli. Si assiste ad un periodico ritorno dell’antica religione Bon, una sorta di animismo magico con rituali di tipo sciamanico. Intorno all’anno 1000 il buddhismo tibetano conobbe una definitiva rinascita. E’ questa l’epoca in cui visse il celebre Milarepa (1040-1123), che fu mago, poeta ed eremita, uno dei santi più grandi e popolari del Tibet. Vi furono nei secoli seguenti aspri conflitti tra varie scuole buddhiste. Prevalse nel XVI secolo la setta dei “berretti gialli” (fondata nel 1407), dopo lunghi scontri con le sette dei “berretti rossi”. Si avviò così la costituzione di un solido Stato teocratico e gerarchizzato, al cui vertice è posto il Dalai Lama (Oceano di saggezza), incarnazione di Avalokiteshvara.

Il LAMAISMO (così è chiamato il buddhismo che si è affermato in Tibet, da Lama = guru) può essere definito come una fusione del Vajrayana con il Bon, la tradizionale religione dei popoli tibetani. Esso è presente anche in Mongolia oltre che in Nepal, Buthan, Sikkim (annesso dall’India nel 1975), nella Cina occidentale e settentrionale e in Turkestan.

A seguito della caduta dell'impero Manciù nel 1911, il Tibet dichiarò la sua indipendenza dalla Cina. Ma dopo la rivoluzione comunista, la Cina rivendicò come proprio il territorio tibetano, che invase nel 1951. Seguì la fuga del XIV Dalai Lama, che presto tornò in patria a seguito di accordi stipulati con la Cina, che concedeva al Tibet una autonomia. Ma dopo la rivolta del 1959, vi fu una dura repressione militare dei Cinesi che distrussero centinaia di monasteri. Da allora il Dalai Lama non è più tornato in Tibet. La tragedia dell’ occupazione cinese ancora in atto, ha causato la distruzione di circa seimila  monasteri (Il 90% del patrimonio artistico e architettonico) e la morte di oltre un milione di tibetani su una popolazione complessiva di sei milioni di abitanti.



Cina

Il buddhismo fu introdotto in Cina a partire dal I sec. d. C. ad opera di missionari indiani. Tollerato o favorito da vari imperatori, raggiunse una grande affermazione tra il V e l’VIII secolo. La “scuola della meditazione” CH’AN (da cui deriva lo Zen giapponese) fu iniziata da BODHIDHARMA, un monaco indiano che emigrò in Cina nel 526 d. C., e viene considerato dai cinesi il ventottesimo patriarca del buddhismo. Nel IX secolo il buddhismo fu proscritto, vennero distrutti monasteri e santuari, e deportati numerosi monaci. In seguito si riuscì a superare il difficile periodo, ed il buddhismo rimase una delle componenti fondamentali del pensiero cinese, accogliendo nel suo ambito credenze popolari autoctone, nonché elementi taoisti e confuciani.

La tradizione più diffusa tra i cinesi, è la SCUOLA DELLA TERRA PURA, che cominciò ad affermarsi dal V sec. d. C. Non è una scuola contemplativa, ma devozionale; ciò significa che la salvezza non si raggiunge attraverso la conoscenza e la meditazione, ma semplicemente avendo fede nella grazia di Amitabha, il Buddha della compassione, pregando e ripetendo il suo nome con la più completa fiducia. Poiché si diffuse anche in Giappone, torneremo a parlare e a riflettere su questa scuola nel paragrafo seguente.

 

Il regime comunista perseguitò duramente ogni forma di religiosità; per questa ragione oggi non è facile stabilire quale sia l’effettiva consistenza del buddhismo.



Giappone

Il Dharma fece il suo ingresso ufficiale in Giappone nel VI sec. d. C., arrivando dalla Corea. Dopo qualche ostilità iniziale fu accolto con favore dagli ambienti di corte. Anche qui dovette scendere a compromessi con le tradizioni locali e con lo Shintoismo, religione autoctona che prevede, fra l’altro, il culto dell’imperatore. Le due religioni coesistevano e generalmente uno stesso individuo le praticava entrambe.

Il buddhismo aggiunse il massimo sviluppo nell’epoca Heian (794-1186).

Si svilupparono numerose sette, fra le quali si ricordano la scuola Jodo o della “Terra Pura”, fondata da Honen (1133-1212) che riprese un culto popolare iniziato in Cina tra nel V sec. d. C. Come abbiamo visto, è di tipo devozionale e si fonda sulla venerazione di Amitabha (il Buddha della compassione), Amida in giapponese, da cui  AMIDISMO. Anche in Giappone è seguita un notevole numero di fedeli, basti pensare che soltanto la setta Shin ne conta circa dieci milioni. L’Amidismo offre l’occasione per riflettere sull’immenso divario che può crearsi fra il pensiero buddhista e la pratica quotidiana di milioni di devoti. Molto spesso la meditazione si riduce ad una preghiera automatica, una litania. Questo genere di buddhismo, che in Oriente risulta essere maggioritario, non è molto diverso dalle preghiere rivolte al santo protettore, alla Vergine Maria, o a Domineddio. Basta ripetere il mantra «Namu Amida Butsu» (sia lode al Buddha Amida), per cancellare anche le peggiori colpe e rinascere in Paradiso.

 

Lo ZEN è una scuola intuizionista che, come si è visto, deriva dal CH’AN cinese. Fu introdotta in Giappone da due monaci, Eisai (1141-1215) e Dogen (1200-1253), che riprendendo due diverse scuole cinesi (la Lin-chi e la Tsao tung), diedero vita rispettivamente allo Zen Rinzai e allo Zen Soto. Quando la scuola Rinzai attraversò una crisi, venne rivitalizzata dal maestro Daito Kokushi (1282-1337), fondatore del tempio Daitokuji a Kioto.

Lo Zen, che si diffuse specialmente fra gli uomini d’arme, ha esercitato una notevole influenza nella cultura e nelle arti giapponesi. Questa scuola non nutre molta fiducia nei testi scritti: la dottrina va trasmessa direttamente da maestro a discepolo. Grandissima importanza viene attribuita alla meditazione denominata zazen (meditare seduti).

La dottrina di NICHIREN (1222-1282) sorse in opposizione a tutte le altre scuole. Assumendo un atteggiamento fanatico e settario, Nichiren pretendeva di essere l’unico depositario della verità. Oggi la Soka Gakkai, un’associazione laica che si ispira agli insegnamenti di Nichiren, e diffusa in varie zone del pianeta, conta in Giappone, oltre dieci milioni di seguaci, e molti altri in molte parti del pianeta. Può considerarsi un culto devozionale al pari dell’amidismo: ripetendo il mantra «Nam-myoho-renge-kyo» (lode al Sutra del Loto) si ottiene il raggiungimento di obiettivi concreti, anche materiali.

 

 

Enrico Meloni




Testo revisionato da Alfredo Daishin Malagodi, monaco Zen Rinzai




Quarto passo: BUDDHISMO E OCCIDENTE (Parte Prima)



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